Quadro normativo europeo

Quadro Internazionale

Il diritto all’istruzione è uno dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona, sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani dell’ONU recepita dagli stati membri dell’ONU nel 1948, con l’articolo 26 che garantisce il diritto all’istruzione e consiglia la gratuità e obbligatorietà dei livelli fondamentali e l’accesso su base di merito ai livelli superiori. Lo stesso articolo continua insistendo anche sulla qualità e il fine dell’istruzione quale rispetto dei diritti umani e pieno sviluppo della personalità, al fine di evitare forme di indottrinamento tipiche dei regimi dittatoriali (la dichiarazione viene firmata nel 1948 poco dopo la seconda guerra mondiale causata anche dalla diffusione dei regimi totalitari in Europa).

La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge n.176/91), principale riferimento internazionale in materia di diritti dei minori, stabilisce due principi generali fondamentali:

il principio di “non discriminazione” (art. 2):

“Gli Stati Parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza”

e il principio del “superiore interesse del minore” (art. 3):

“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.

All’art. 28, la Convenzione sui diritti del fanciullo stabilisce poi che: “Gli Stati Parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, ed in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all’uguaglianza delle possibilità: a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuità dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità”.

Quadro Europeo

Il riferimento normativo  europeo giuridicamente vincolante per l’Italia è la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata il 4 novembre 1950, poi integrata e modificata da 14 Protocolli aggiuntivi, che sancisce “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno” (art. 2 del Protocollo addizionale).

Il diritto all’istruzione è garantito dall’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nota anche come Carta di Nizza, proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000, e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta di Nizza ha il medesimo valore giuridico dei trattati, e si pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri e, allo stesso livello di trattati e protocolli ad essi allegati, come vertice dell’ordinamento dell’ Unione Europea. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è divisa in sette capi che coprono l’insieme dei diritti politici, sociali, civili ed economici garantiti dall’Unione Europea ai suoi cittadini. L’articolo 14 del Capo II, relativo al diritto all’istruzione, introduce il diritto alla formazione professionale e continua, la gratuità dell’istruzione obbligatoria, e il diritto di libertà di creare istituti di insegnamento e per le famiglie di scegliere il tipo di istruzione da impartire ai loro figli, garantiti dalle leggi nazionali.

L’11 aprile 1997 è stata approvata la “Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea”, nota anche con la dizione sintetica di Convenzione di Lisbona, ratificata in Italia con la Legge 148 del 2002, mentre gli strumenti di ratifica sono stati depositati presso il Consiglio d’Europa il 6 ottobre 2010, che enuncia il diritto di ciascuno a veder valutato il proprio titolo di studio e, collegato a questo, il divieto di qualsiasi discriminazione di sesso, razza, colore, disabilità, lingua, religione, opinioni politiche, origini nazionali, etniche o sociali, appartenenza a minoranze nazionali, proprietà, nascita o altro stato civile.

La Convenzione fissa quattro grandi regole alle quali devono attenersi i soggetti abilitati a svolgere le procedure di riconoscimento, ovvero università, uffici specifici e singoli soggetti:

  1. Il riconoscimento dei titoli di studio deve avvenire esclusivamente sulla base di una adeguata valutazione delle conoscenze e delle competenze acquisite, prescindendo da fattori di altro genere non attinenti al valore del titolo di studio.
  2. Le procedure e i criteri impiegati per la valutazione dei titoli esteri e per il loro riconoscimento devono essere “trasparenti, coerenti e affidabili”
  3. La decisione di riconoscere un titolo estero deve essere adottata sulla base di adeguate informazioni. Le informazioni devono essere adeguate a descrivere la natura dell’istituzione che ha rilasciato il titolo, le caratteristiche del corso di studio seguito e il valore del diploma. Le informazioni devono essere inoltre fornite “in buona fede”.
  4. Le decisioni relative al riconoscimento devono essere adottate entro un lasso di tempo “ragionevole”.

L’Unione Europea ha messo al centro delle proprie politiche il tema l’inclusione scolastica: tramite l’attività educativa delle istituzioni scolastiche è infatti possibile realizzare le priorità di una crescita “intelligente, sostenibile e inclusiva”, così come richiesto dal documento di indirizzo “Europa 2020.

Nel 2012 la Commissione ha presentato il documento “Ripensare l’istruzione”, un’iniziativa per incoraggiare i paesi dell’UE a garantire che i giovani possano dotarsi delle qualifiche e delle competenze richieste dal mercato del lavoro. L’inclusione ha rilevanza non solo per i temi economici, ma anche per quanto riguarda un più ampio motivo sociale ed educativo che l’Unione Europea ha riconosciuto come obiettivo strategico. Le politiche d’istruzione e formazione, infatti, devono fare in modo che tutti i cittadini possano acquisire e sviluppare lungo l’arco della loro vita le competenze e le conoscenze necessarie per favorire la propria occupabilità, la formazione professionale, la cittadinanza attiva e il dialogo multiculturale. Situazioni di svantaggio educativo dovute ai contesti di provenienza devono essere superate attraverso l’alfabetizzazione di base e numerica che rappresenta l’elemento cruciale per proseguire l’apprendimento, ed è il primo imprescindibile passo verso l’inclusione sociale e nel mondo del lavoro.

Nel giugno 2016 la Commissione ha presentato un Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi per sostenere gli Stati membri e il contributo economico e sociale di questi ultimi all’UE. Le azioni proposte riguardano aree cruciali, tra le quali migliorare le competenze dei migranti e riconoscere e mettere a profitto le qualifiche di cui sono già in possesso.

Tra le misure specifiche prioritarie, da adottare sia a livello dell’UE che a livello degli Stati membri, al fine di rafforzare e sostenere l’integrazione nei principali settori politici, un posto di rilievo occupano proprio l’istruzione e la formazione.

Nello specifico le raccomandazioni della Commissione in tal senso riguardano:

  • L’apprendimento della lingua del paese di destinazione, essenziale per un processo di integrazione efficace da parte dei cittadini di paesi terzi da cui consegue la necessità di organizzare programmi di integrazione linguistica il prima possibile dopo l’arrivo, adattati alle esigenze di ciascuno a seconda delle rispettive competenze linguistiche, che associno l’apprendimento delle lingue a quello di altre capacità e competenze o esperienze lavorative e garantiscano la partecipazione delle donne al pari degli uomini.
  • L’accesso di tutti i minori, indipendentemente dal contesto familiare o culturale, nonché dal genere, all’istruzione per proseguire il loro sviluppo che comporta azioni di sostegno specifico per i minori rifugiati che abbiano dovuto interrompere il percorso scolastico, l’aggiornamento delle competenze degli insegnanti per prevenire i fallimenti scolastici e la segregazione nel sistema scolastico.
  • Il coinvolgimento nell’educazione e cura della prima infanzia dei minori provenienti da paesi terzi per favorire l’apprendimento della convivenza in società eterogenee e l’acquisizione delle competenze linguistiche.
  • L’apprendimento delle leggi, della cultura e dei valori della società di accoglienza attraverso corsi di educazione civica nelle scuole secondarie e valorizzando l’apprendimento non formale (ad esempio, nelle associazioni giovanili, tramite la cultura e lo sport).
  • La facilitazione della convalida delle competenze e il riconoscimento delle qualifiche per garantire che le competenze individuali siano sfruttate al massimo del loro potenziale, particolarmente importante per i rifugiati che possono non essere in possesso dei documenti necessari per comprovare il percorso di apprendimento e le qualifiche ottenute in precedenza, o essere stati costretti a interrompere il percorso scolastico o non aver seguito nessun tipo di istruzione formale.
  • L’attivazione di interventi a favore dei giovani in situazioni vulnerabili che non lavorano e al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (i cosiddetti NEET), inclusi i giovani provenienti da paesi terzi, per garantire una rapida integrazione nei sistema di istruzione, apprendistato, formazione o nel mercato del lavoro.
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio 2020