Minori Stranieri non Accompagnati: Ingresso e Soggiorno per Minore Età, per Affidamento o per Integrazione Minore

I minori stranieri non accompagnati (MSNA) sono tutelati dall’ex Comitato per i Minori Stranieri (art. 33, T.U.), ora sostituito dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali.

I pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza, che vengono a conoscenza dell’ingresso o della presenza di un minore straniero non accompagnato, sono tenuti a darne notizia alla D.G. Immigrazione, che provvederà a garantirne i diritti in materia di assistenza sanitaria ed obbligo scolastico, svolgerà ricerche per verificare che effettivamente nel territorio non siano presenti parenti del minore e programmerà un eventuale rimpatrio assistito verso la famiglia di origine. La procedura e i moduli con cui effettuare la segnalazione alla D.G. Immigrazione sono disponibili nel sito del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali.

I minori stranieri non possono essere espulsi dal territorio, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi. Non essendo espellibili, gli stessi possono essere titolari di un permesso di soggiorno che li autorizzi alla permanenza nel territorio italiano.

Il permesso di soggiorno per minore età viene rilasciato solo ai “minori non accompagnati”, durante “il periodo necessario per l’espletamento delle indagini sui familiari nei Paesi d’origine”

Avuta notizia della presenza di un minore straniero non accompagnato, i Servizi Sociali competenti valutano il percorso più adatto per tutelare il minore in difficoltà.
Diversi sono i casi che possono presentarsi:

1) situazioni di emergenza, abbandono morale e materiale, situazioni di pericolo, anche per cause ambientali, cosi come individuate dall’art.403 del Codice Civile;

2) situazioni che rientrano nelle ipotesi previste dall’art. 343 del Codice Civile (morte dei genitori, abbandono alla nascita del minore, incapacità dei genitori, perdita, decadenza, sospensione o esclusione della potestà genitoriale, irreperibilità dei genitori o impedimento all’esercizio della potestà genitoriale).

Nel primo caso, in cui la potestà genitoriale è esercitata male o non è affatto esercitata, i servizi che vengano a conoscenza di tali situazioni, possono fare una segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, per un provvedimento di affidamento (cosiddetto “affidamento giudiziario”, art.4, comma 2, legge n.184/83) e collocheranno il minore in luogo sicuro. E’ possibile, inoltre, una segnalazione al Giudice Tutelare per l’individuazione del tutore legale.
Nel secondo caso, i Servizi Sociali possono, in base alle disposizioni dell’art.343 del Codice Civile, segnalare la situazione al Giudice Tutelare, individuando il tutore (un parente presente in Italia, oppure una terza persona, individuata anche con il consenso dei genitori). Il Giudice Tutelare renderà esecutivo il provvedimento dei Servizi Sociali (cosiddetto “affidamento amministrativo o consensuale”, art.4, comma 1, legge n.184/83).

Nel caso in cui non siano presenti parenti in Italia, il tutore potrà essere una terza persona e il minore potrà essere inserito in un istituto di accoglienza o in una comunità familiare (art.2 legge n.184/83).

Per un grado maggiore di protezione del minore presente in Italia, è preferibile segnalare al Giudice tutelare anche i casi di affidamento “di fatto” del minore al parente presente in Italia, in modo tale da rientrare in un provvedimento di affidamento amministrativo ex art.4 legge n.184/83, che consente il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il Permesso di soggiorno per affidamento è un permesso di soggiorno la cui regolamentazione non compare espressamente nel testo normativo (viene citato tra quei permessi di soggiorno che consentono l’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale). Viene rilasciato al minore, oggetto di un provvedimento di affidamento ex art.2 legge n.184/83, presso una comunità, un istituto, una famiglia o una persona singola, in accordo con il tutore, oppure ai minori sottoposti a tutela (art.343 Codice Civile).

Esiste, infine, il Permesso di soggiorno per integrazione minore (art.11, comma 1, lett. C-sexsies) Reg. Att.) che viene rilasciato ai minori in origine non accompagnati, sottoposti a un provvedimento di affidamento ex art.2 legge n.184/83, presso una struttura o una comunità di tipo familiare, che siano inseriti in un progetto almeno biennale di integrazione sociale e civile, gestito da un ente pubblico o privato.

I minori che sono stati sottoposti ad un provvedimento di affidamento familiare e che sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di affidamento, possono convertire il titolo al soggiorno, previo parere della D.G. Immigrazione e Politiche di Integrazione, oppure, se titolari del permesso di soggiorno per integrazione minore, possono convertire il titolo al soggiorno, se hanno seguito un percorso di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato per almeno due anni

Per quanto riguarda svolgere un’attività lavorativa i minori titolari di permesso per minore età non possono lavorare ma possono convertirlo in permesso di soggiorno per affidamento nel caso in cui, a seguito del provvedimento di “non luogo a provvedere al rimpatrio” dal Comitato per i minori stranieri, vengono affidati o direttamente con provvedimento del Tribunale per i minorenni o su iniziativa dei Servizi Sociali resa esecutiva dal Giudice Tutelare. Il permesso di soggiorno per affidamento consente al minore straniero di lavorare in tutti quei casi in cui la legge italiana lo permette ai minori in generale (e previo assolvimento dell’obbligo scolastico) e può essere convertito in permesso per studio o lavoro, al compimento dei 18 anni.

I minori non accompagnati titolari di permesso per affidamento possono convertirlo in studio, accesso al lavoro, lavoro subordinato o autonomo, al compimento dei 18 anni, se:

– sono entrati in Italia da almeno 3 anni, quindi prima del compimento dei 15 anni;
– hanno seguito per almeno 2 anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentatività nazionale e sia iscritto negli appositi registri previsti dalla legge;
– frequentano corsi di studio, o svolgono attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge, o sono in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.

Si ricorda, infine, che i Principi fondamentali dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono quattro e sono:

  1. Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori;
  2. Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l’interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità;
  3. Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino (art. 6): gli Stati decono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione tra Stati;
  4. Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.
Ultimo aggiornamento: 23 Luglio 2020